“Any world that I’m welcome to is better than the one I come from”
(Steely Dan)
Da quando gli occupanti del cantiere TAV a Chiomonte hanno preso la decisione di proseguire i lavori a oltranza, quelli di ieri sono stati gli scontri più violenti.
Qua non si tratta più di semplice cattivo gusto, come quando il corteo della Confindustria scandiva lo slogan “10, 100, 1000 ILVA!”: questa è praticamente guerra civile. Così, almeno, sembrano pensarla i membri delle forze dell’ordine che, coadiuvati dai valligiani in un encomiabile impeto di attaccamento al territorio e alla legalità, hanno preso d’assalto le reti del cantiere, difese dalle polizie pagate da mafiosi e affaristi.
Decine i feriti tra le forze dell’ordine, per fortuna non in maniera grave. Tra gli occupanti, alcuni dimostranti di estrema destra (clamorosamente equipaggiati con divise complete di caschi e manganelli) sono rimasti intossicati dai lanci dei lacrimogeni. Provvidenziale è stato l’intervento dei nuclei medici dei centri sociali, da sempre in prima linea nella difesa della decisione del Governo di revocare la costruzione della linea ferroviaria.
Immediata è giunta la condanna da parte di tutte le forze politiche, con il solo PdL che ha provato a difendere i SI TAV in nome di un non meglio precisato diritto all’autodeterminazione imprenditoriale.
Ma non bisogna certo essere degli statalisti retrogradi per capire che il diritto al guadagno personale e alla libera iniziativa imprenditoriale, pur garantita dalla Costituzione, non può superare in importanza i beni fondamentali della salute e della salvaguardia dell’ambiente. Quanto all’argomento secondo cui il completamento della TAV porterebbe benefici economici all’intera comunità, è d’obbligo, allo stato delle cose, dissentire da tale previsione. Fior di esperti ha mostrato che il traffico delle merci, anche su gomma, sulla tratta Torino-Lione è già in diminuzione. Anche se il completamento dei lavori dovesse agire da volano per l’import-export italo-francese (il che è, ancora una volta, tutto da dimostrare), occorre ribadire con fermezza, come ha fatto da ultimo il Ministro del Lavoro, che “in questo Paese non è permesso fare soldi sulla pelle dei cittadini. Se ancora qualche datore di lavoro non l’ha capito, lo capirà”.
In attesa di questo auspicato “cambiamento radicale di mentalità”, Bersani ha ricordato che, ormai, una decisione è stata presa, e che sono le stesse norme della convivenza civile che esigono che tale decisione venga rispettata da tutti, anche da chi avrebbe i soldi e i mezzi per comportarsi altrimenti, come purtroppo i sedicenti SI TAV.
Questo appello alle legalità e alla irrevocabilità delle decisioni prese, così spesso ripetuto soprattutto a sinistra, può però essere a doppio taglio. Avremmo forse condannato i valligiani e gli attivisti della sinistra radicale che ieri hanno lottato al fianco delle forze dell’ordine se la decisione del Governo fosse stata contro di loro? Avremmo sostenuto i poliziotti, se loro, e non un esercito privato composto da manovalanza mafiosa e neofascista, avessero difeso il cantiere? O, esaurite tutte le battaglie legali e consumata ogni argomentazione contro il muro dell’irrevocabilità del fatto compiuto, non avremmo noi stessi indossato i bavagli e scagliato le molotov per impedire che, in nome della legalità, fosse commessa un’ingiustizia?